Industrie, esercizi commerciali e botteghe artigianali le attività più penalizzate
L’analisi, aggiornata, per province e per settori
La mancata destagionalizzazione e i rincari dei beni energetici rallentano la crescita del sistema produttivo pugliese. È quanto emerge dall’ultimo studio condotto dall’Osservatorio Economico Aforisma. Ci sono state meno iscrizioni al Registro delle imprese nel terzo trimestre di quest’anno: il tasso di crescita in Puglia è stato dello 0,35 per cento, contro lo 0,43 per cento del terzo trimestre del 2021. A fronte di 4.182 nuove iscrizioni al Registro delle imprese, le cancellazioni sono state 2.831: il saldo è di 1.351 aziende in più.
In Puglia si contano 232.592 ditte individuali, 103.664 società di capitale, 32.160 società di persone, 17.426 società costituite in altre forme (ad esempio, sotto forma di consorzi). Sono, in tutto, 385.842 le imprese registrate al 30 settembre 2022.
In provincia di Bari si registra una diminuzione degli esercizi commerciali; in quella di Foggia, oltre al commercio, soffre anche l’industria e in quella di Lecce arretra solo l’industria tra i principali settori. Gli altri, invece, sembrano resistere a questa congiuntura sfavorevole.
Tuttavia, se da un lato il numero delle aziende lievemente cresce o resta invariato in tanti settori, dall’altro, però, occorre rilevare l’effetto distorsivo dei prezzi sui mercati: l’economia è a rischio se continuano ad essere “instabili”.
«I prezzi non devono aumentare in maniera esponenziale (altrimenti si alimenta l’inflazione), né devono diminuire per un periodo prolungato (per evitare la deflazione). Lunghe fasi di inflazione (o deflazione) eccessiva hanno effetti fortemente negativi sull’economia. È la stabilità dei prezzi che favorisce la crescita dell’economia: i posti di lavoro sono al sicuro e i soldi in tasca mantengono il loro valore.
Se i prezzi dei beni e dei servizi aumentano ancora, si perde “potere di acquisto”. Questo significa che con il denaro a disposizione (tra reddito e risparmi) non si riesce più a comprare quello che si sarebbe potuto comprare in passato. L’inflazione innesca una spirale di crescita dei prezzi e se tutto diventa più costoso, i lavoratori sono spinti a chiedere un aumento di stipendio.
I datori di lavoro, per soddisfare questa richiesta, non possono fare altro che vedersi costretti ad innalzare i prezzi dei loro prodotti. Tutto ciò rende più difficile sia per le famiglie ma soprattutto per le imprese poter pianificare entrate e uscite e, dunque, risparmi ed investimenti. Se il denaro si svaluta rapidamente, si comprano meno beni e meno servizi, determinando ripercussioni negative sul Prodotto interno lordo (Pil)».